Una richiesta d’intervento dell’ONU contro le gravi violazioni ai diritti umani e alle libertà fondamentali perpetrate dalla Cina, in particolare contro i tibetani, è stata avanzata il 31 marzo durante la 60ma riunione annuale della Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani.
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Una richiesta d’intervento dell’ONU contro le gravi violazioni ai diritti umani e alle libertà fondamentali perpetrate dalla Cina, in particolare contro i tibetani, è stata avanzata il 31 marzo durante la 60ma riunione annuale della Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani.
Tenzin Samphel Kayta, della Society for Threatened Peoples (Società per i popoli minacciati), organizzazione che promuove i diritti umani tra minoranze etniche e religiose, ha denunciato la Cina per il ricorso a pena di morte, detenzione carceraria e tortura, soprattutto verso i dissidenti; l’assenza di libertà religiosa e di espressione; la situazione del Tibet. Egli ha accusato la Cina di tentare di deviare attenzione e critiche della comunità internazionale sulla questione dei diritti umani, rilasciando alcuni prigionieri politici, peraltro di scorso profilo, poco prima dell’inizio dei lavori della commissione.
Sulla situazione del Tibet, Tenzin Samphel Kayta, citando il Dalai Lama, ha affermato: “La situazione dei diritti umani in Tibet ha la caratteristica peculiare di impedire ai tibetani di rivendicare la propria identità e cultura. Le violazioni sono il risultato di politiche di discriminazione razziale e culturale e d’intolleranza religiosa.
Il funzionario ha chiesto alla commissione Onu di sollecitare la Cina a permettere l’ingresso in Tibet di rappresentanti della commissione, agenzie di monitoraggio del governo, giornalisti e ong. Il funzionario ha anche chiesto alla commissione di premere per il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza. Tra essi, Tenzin Delek Rinpoche, un lama molto rispettato e imprigionato senza processo, che potrebbe essere condannato a morte il prossimo dicembre, e Gedhun Choekyi Nyima, reincarnazione del 10º Panchen Lama, che ad appena 15 anni è il più giovane prigioniero politico del mondo.
Fino al 1950, anno dell’invasione cinese, il Tibet era un paese libero, con una propria identità religiosa, culturale, etnica, linguistica e un proprio patrimonio culturale e ambientale. Nel 1959, la feroce repressione di una rivolta popolare si è conclusa tragicamente con un bagno di sangue: fonti militari cinesi ammettono che circa 87 mila tibetani sono rimasti uccisi negli scontri. Durante l’occupazione militare cinese sono stati demoliti circa seimila monasteri, templi e monumenti artistici. La Cina ha attuato una vera e propria “pulizia etnica” in Tibet, mediante aborti forzati e sterilizzazioni di massa delle donne tibetane e il trasferimento di sette milioni e mezzo di coloni cinesi, che arriveranno a 40 milioni entro il 2020 e ha reso i tibetani una minoranza. (ThR) |