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26/03/2002
Agli arresti l'indipendentista Malik, intervistato da il Manifesto


26/03/2002 Stato: Kashmir

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Regione: -Dipartimento: -
Città:Srinagar
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Dove:intervista a cura di Marina Forti
Fonte:il Manifesto
In breve:

Yasin Malik è arrestato con l'accusa di ricevere finanziamenti illegali dal Pakistan. Bella ironia per il più anti-pakistano dei dirigenti indipendentisti del Kashmir ... Quando è stato prelevato, Malik stava dicendo che di quei soldi non sa nulla e il tesoriere del suo movimento non va in Nepal da almeno 7 mesi. L'arresto di Malik ha provocato proteste, scontri e un'impennata della tensione in questa città già normalmente presidiata da una quantità impressionante di agenti - tenuta di guerra, veicoli blindati, kalashnikov spianati. Decine di persone, forse un centinaio, si sono radunate nel primo pomeriggio presso casa Malik, nel modesto e centrale Maisuma Bazar. I negozi hanno abbassato le saracinesche, la folla ha urlato slogan, la polizia (Special Task Force, i corpi speciali della polizia di stato) ha sparato lacrimogeni - per poi farsi da parte quando sono arrivati due camion di agenti della Bsf. Scontri, porte di case sfondate, coppertoni dati alle fiamme: ieri sera ancora bloccavano l'accesso alla via dove si trova casa Malik, minuscola abitazione a due piani, travi di legno visibili tra i mattoni come in tutta la vecchia Srinagar, un cancelletto che non chiude, un minuscolo cortile, l'ingresso lillipuziano. E' là che avevo incontrato Malik la vigilia dell'arresto, domenica.


Originale: Kashmir pronto ad esplodere
(lingua: Italiano )
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Kashmir pronto ad esplodere
Agli arresti l'indipendentista Malik, da noi intervistato
MARINA FORTI
INVIATA A SRINAGAR (KASHMIR)
L'arresto è stato spettacolare: Yasin Malik, leader del Fronte di Liberazione di Jammu e Kashmir (Jklf), stava tenendo una conferenza stampa ieri quando un centinaio di agenti ha circondato l'ufficio della Hurriyet Conference, la coalizione delle forze politiche nazionaliste del Kashmir. Erano agenti della Border security force (Bsf), la polizia di frontiera che in questo territorio alle pendici dell'Himalaya controlla in modo ferreo soprattutto le aree urbane. Yasin Malik si stava difendendo dall'accusa già riportata ieri mattina dai giornali locali: la polizia dice di aver arrestato una donna, tale Shazia, che stava portando proprio a lui la somma di 100 mila dollari. La donna viaggiava insieme al tesoriere del Jklf e, secondo la polizia, ha ricevuto il denaro nella capitale nepalese Kathmandu da tale Altaf Qadri, dirigente kashmiro che vive nella parte del territorio sotto il controllo pakistano. Insomma: Yasin Malik è arrestato con l'accusa di ricevere finanziamenti illegali dal Pakistan. Bella ironia per il più anti-pakistano dei dirigenti indipendentisti del Kashmir ... Quando è stato prelevato, Malik stava dicendo che di quei soldi non sa nulla e il tesoriere del suo movimento non va in Nepal da almeno 7 mesi. L'arresto di Malik ha provocato proteste, scontri e un'impennata della tensione in questa città già normalmente presidiata da una quantità impressionante di agenti - tenuta di guerra, veicoli blindati, kalashnikov spianati. Decine di persone, forse un centinaio, si sono radunate nel primo pomeriggio presso casa Malik, nel modesto e centrale Maisuma Bazar. I negozi hanno abbassato le saracinesche, la folla ha urlato slogan, la polizia (Special Task Force, i corpi speciali della polizia di stato) ha sparato lacrimogeni - per poi farsi da parte quando sono arrivati due camion di agenti della Bsf. Scontri, porte di case sfondate, coppertoni dati alle fiamme: ieri sera ancora bloccavano l'accesso alla via dove si trova casa Malik, minuscola abitazione a due piani, travi di legno visibili tra i mattoni come in tutta la vecchia Srinagar, un cancelletto che non chiude, un minuscolo cortile, l'ingresso lillipuziano. E' là che avevo incontrato Malik la vigilia dell'arresto, domenica.

Mohammed Yasin Malik non è al suo primo arresto, e quelli passati hanno lasciato il segno: metà del viso è paralizzato in seguito alle botte e torture ricevute nel famigerato «centro interrogatori» della polizia, dove era stato rinchiuso nell'87. Ne era uscito in barella, un'infezione nel sangue, mezzo morto. A quel tempo Malik rappresentava la Jammu and Kashmir Students League in un fronte di forze politiche che rivendicavano l'indipendenza del territorio di Jammu e Kashmir, circa 10 milioni di abitanti di cui il 70% musulmani, che l'India considera a pieno titolo uno stato dell'Unione benché il Pakistan lo rivendichi come suo, parte integrante della nazione musulmana nata nel 1947 dalla Spartizione della vecchia India britannica. L'87 c'erano le elezioni per il parlamento locale, ma i candidati del Fronte musulmano unito furono sconfitti e la vittoria andò al partito controllato da New Delhi (nessuno ormai nega che quelle elezioni furono truccate). E' stata la fine delle illusioni. «Abbiamo capito che lo spazio per la lotta politica non c'era più. Il paese che ha dato al mondo la non-violenza ha represso il nostro movimento democratico. Non avevamo più alternative», dice Malik avvolto in una coperta con un cestino di braci calde - la stagione è ancora fredda, a 1.730 metri.

Malik racconta con poche parole l'avventura di una generazione che ha preso il fucile. Era la fine dell'87: scarcerato, con tre compagni studenti come lui ha attraversato clandestinamente la Linea di Controllo - la linea del cessate il fuoco che concluse la prima guerra indo-pakistana per il Kashmir (1949) e segna il confine di fatto tra il territorio indiano e quello occupato dal Pakistan - i pakistani lo chiamano Azad («libero») Kashmir. Ne è tornato pochi mesi dopo come quadro del neonato «braccio armato» del Jammu and Kashmir Liberation Front, fondato negli anni `60, improntato a un'ideologia laica e al discorso dell'autodeterminazione nazionale. Yasin Malik aveva 22 anni. «Facevamo politica da tempo, eravamo coscienti di quello che facevamo andando in Azad Kashmir. Chi ci ha addestrato? Non è poi così difficile addestrare un guerrigliero», ride con il guizzo di un occhio solo - l'altro è immobile, come il viso. «A differenza dei soldati, i guerriglieri non hanno bisogno di un addestramento professionale: combattono con la forza della passione e delle idee. Noi avemmo un addestramento di dieci giorni, tutto lì». Il Pakistan? «Non si opponeva alla nostra attività» (gli indipendentisti non sono mai piaciuti a Islamabad, che però li guardava con interesse a fini anti-indiani). La prima azione armata è stata nel luglio dell'89, tre bombe a Srinagar. Da allora, nella Valle del Kashmir hanno la parola kalashnikov e mortai.

A quel tempo i guerriglieri del Jklf colpivano simboli politici, non facevano vittime civili ed erano guardati come eroi - o almeno, questa è l'aura di cui sono circondati ora: perché le cose sono cambiate presto. Altri gruppi armati si sono aggiunti, più esplicitamente islamici, come il Hizbul Mojaheddin, braccio armato della conservatrice (e filopakistana) Jamiat Islami: la lotta «di liberazione nazionale» diventava la guerra di una comunità religiosa (musulmana). Dal `93 sono entrati in scena gruppi come la Lashkar e Taiba, che in nome del pan-islamismo arruolava anche pakistani e i primi afghani lasciati disoccupati dalla fine della guerriglia antisovietica, e riceveva dal Pakistan un sostegno più tangibile. Le sigle si sono moltiplicate. Sono cominciati gli attentati contro civili, le bombe nei mercati, il terrore. La repressione è stata feroce da subito, con grande uso di tortura, arresti illegali, missing, e milizie di «rinnegati» come squadre della morte. Infine l'influenza di combattenti «stranieri» è aumentata, in numero e in armi, scavalcando le formazioni locali. Sono comparsi i fedayin, gli attacchi suicidi. E' arrivato un islam di stampo taleban del tutto estraneo alla tradizione sufi del Kashmir - che i musulmani ortodossi guardano come un'eresia perché hanno santi e templi e assomigliano troppo agli hindu. E sono morte decine di migliaia di persone: tra 50 e 80mila dal 1989, in gran parte civili.

La guerra di Yasin Malik però era già finita. Arrestato nel `90, dopo un nuovo passaggio nel centro di interrogatori («non bastano le parole a descrivere. Elettroshok, ustioni, ti appendono, ti fanno bere quindici litri d'acqua e poi ancora elettroshok»), anni di carcere duro e un'operazione al cuore nel '94, Malik ha annunciato il «cessate il fuoco unilaterale» ed è stato scarcerato. «Avevamo ottenuto che la comunità internazionale si occupasse di noi. Abbiamo sempre voluto una soluzione pacifica, ma abbiamo avuto di fronte un terrorismo di stato. Ma a quel punto bisognava ridare una chance alla pace. Se l'India avesse accettato il dialogo, anche gli altri avrebbero dovuto deporre le armi». Si illude? Certo da allora Malik ha subìto diversi tentativi di uccisione («Nessuno è al sicuro in Kashmir»).

Il Jklf, come tutti i nazionalisti, vuole un dialogo a tre parti - India, Pakistan e la leadership nazionalista, mi ha detto Malik domenica: «Noi non mettiamo condizioni, se non che anche Delhi non metta condizioni. Sta alla comunità internazionale fare pressione sull'India perché apra un dialogo». Mentre lo portavano via ieri Malik ha accusato: mi arrestano perché «mi considerano un ostacolo per le prossime elezioni». Già, lo stato di Jammu e Kashmir sarà chiamato a rinnovare il suo parlamento, in settembre. Le forze politiche della Hurriyet Conference considerano inutile un esercizio elettorale. Il governo indiano spera invece di ottenere partecipazioni significative. Il Jammu and Kashmir Liberation Front parla di boicottaggio. Qualche settimana fa, dopo un viaggio negli Stati uniti (dove si è rivolto a think thank democratici), Malik ha proposto una consultazione parallela: «Per dimostrare che siamo davvero i rappresentanti del popolo kashmiri, e perché non ci fidiamo della commissione elettorale indiana», mi ha detto. Ha trovato sostegni negli Stati uniti? «Sa dio se gli americani ci sosterranno. Ma se gli sta a cuore la pace e la stabilità in Asia meridionale, dovranno spingere l'India al dialogo in Kashmir».

Consulta  anche:Daily Excelsior 
Originale:Kashmir pronto ad esplodere  

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